TOR PIGNATTARA

STORIA ED EVOLUZIONE DI QUESTO ANTICHISSIMO QUARTIERE

   Nascere in un quartiere come quello in cui sono nato io: Tor Pignattara, o Torpignattara come ora è comunemente chiamato, può sembrare una sorte sfortunata ma non è così, anzi.  

   Questo quartiere è oggi conosciuto ben oltre i suoi confini e quelli di Roma. Deve la sua notorietà in chiaroscuro, soprattutto al cinema e ai reportage che dopo la Seconda Guerra Mondiale, lo hanno visto fare da sfondo a film di grande successo come “Un Americano a Roma” con Alberto Sordi che nei panni di “Tarzan” ingaggia una lotta con il coccodrillo/tronco nella “marana”, girato proprio al centro del quartiere ma anche ai film di Pier Paolo Pasolini in cui presenta al grande pubblico, le realtà dei borghetti “Alessandrino” o quello “degli Angeli”, fino ai grandi reportage d’ambiente con le fotografie immortali di Franco Pinna. E’ anche attraverso queste immagini che hanno colpito l’immaginario collettivo che ci si è fatto un quadro che, pur svelando una faccia del vivere in questo quartiere che può essere rappresentativa del crescere caotico della periferia romana, lascia però intravedere, tra un fotogramma e l’altro, un sistema di vita che oggi si è completamente perso. Mi riferisco alla solidarietà tra le persone, all’aiuto disinteressato che discendeva dal vissuto della guerra appena trascorsa. Dalla volontà di migliorarsi dei suoi abitanti che, come mio padre e mia madre, hanno lottato per dare ai propri figli una vita e un futuro migliore del loro. Io sono nato proprio in quel periodo di crescita convulsa e vi accompagnerò in una passeggiata in cui, pur con tutti i miei limiti ma con i tanti ricordi, cercherò di spiegare grazie a ricerche ma anche a esperienze personali, la storia e l’evoluzione di un quartiere simbolo della periferia romana.                                                                       

   La sua storia è millenaria. Pur trovandosi al di fuori delle Mura Aureliane, era sede di una delle ville imperiali e di un campo di Marte, cioè un luogo adibito alle esercitazioni militari, cui erano collegati i Castra,gli accampamenti militari. Nel suo comprensorio è stato ritrovato anche il cimitero degli “Equites singulares”, un corpo scelto di cavalieri che erano secondi per importanza solo ai pretoriani. In quel tempo lontano, la zona era denominata “Ad duas lauros” probabilmente a causa di due enormi alberi di alloro presenti all’entrata della residenza imperiale. La villa imperiale fu fatta costruire dall’imperatore Costantino il quale, nei pressi di questa, fece erigere nel IV secolo un mausoleo dedicato alla madre Elena. Il sarcofago in cui erano conservate le sue spoglie mortali, un tempo presenti nel mausoleo, è stato trasportato nei musei Vaticani dove è possibile vederlo, mentre il corpo della madre, poi dichiarata Santa sia per le innumerevoli opere pie oltre sia per aver riportato a Roma uno dei chiodi della Croce di Cristo, fu traslato nella Chiesa dell’Ara Coeli. Questo Mausoleo è importantissimo per noi perché oltre ad essere un’opera di fattura eccezionale, è anche quello da cui deriva il nome di tutto il quartiere. La costruzione, infatti, presenta nella sua parte più alta un certo numero di grandi anfore o “pignatte” incassate nel calcestruzzo atte ad alleggerirne il peso. Fu così che il popolino iniziò a chiamare il Mausoleo: la Torre delle Pignatte da cui poi si arrivò all’attuale nome Tor Pignattara.

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   Tutto il quartiere si snoda alla destra e sinistra della Via Casilina, una delle strade più importanti e antiche della città. Il suo nome in origine era Via Labicana, anche da questo particolare si ricava il suo essere antichissima. Ai primordi della città infatti, le strade prendevano i nomi dai luoghi di arrivo che in questo caso era l’antica Labico, un paese nei pressi dell’attuale Montecompatri, sui colli tuscolani. Dopo la guerra vittoriosa sugli Equi del 418 a.C., antica popolazione preromana di cui Labico era alleata, la strada fu prolungata fino Capua che al tempo si chiamava “Casilinum” da cui l’odierno nome. Solo in seguito le strade presero il nome dai loro costruttori, basti ricordare alcune tra le più famose consolari: Appia, Cassia o Flaminia per citarne alcune.

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Con la caduta dell’Impero Romano, tutte le zone esterne e persino molte di quelle interne alle Mura Aureliane, subiscono un lento ma inesorabile abbandono e il declino dei suburbi diviene inarrestabile per tutto il medioevo e buona parte di quello moderno. Bisogna aspettare infatti l’unità d’Italia perchè nel bene e nel male, le zone del contado ormai divenute fondi agricoli o semplicemente zone incolte, inizino a riprendere vita.

   Con lo spostamento della Capitale infatti, sorsero quartieri destinati ad abitazione per funzionari e impiegati statali. Nei pressi sorsero inoltre, anche quartieri di operai che, almeno all’inizio, rispettarono norme di regolarità nei piani urbanistici e dei servizi. A cavallo dei due secoli scorsi però, si assiste ad un fenomeno di urbanizzazione selvaggia per l’arrivo a Roma di moltissimi immigrati provenienti soprattutto dalle province del Lazio e dalle Regioni del Sud che si stabiliscono lungo le direttrici di ingresso alla città. A questo fenomeno non sfuggì ovviamente anche la via Casilina che, con la Via Appia, era ed è tuttora la maggiore consolare per il Sud. Intorno ad essa, sorsero così quelli che furono subito chiamati “borghetti”, agglomerati costituiti per lo più da casupole e baracche costruite con tutto ciò che si trovava, fossero mattoni di risulta o bandoni di lamiera. Non avevano servizi igienici e di fognatura né tanto meno acqua corrente. Possiamo solo vagamente immaginare lo stato di degrado dei luoghi.

A questi borghetti si affiancarono poi, vere e proprie borgate costruite dal fascismo a causa dei lavori di sventramento del centro storico e conseguente deportazione forzata. Avevano un certo equilibrio sociale e urbanistico ed erano servite da servizi. E’ proprio intorno a queste che prendono forma i primi abbozzi di quartiere. Nel nostro specifico: Pigneto, Torpignattara propriamente detta, Villa Certosa e Marranella. In tutta questa zona, subito dopo la seconda guerra mondiale, ci fu un incremento caotico delle costruzioni dovuto soprattutto alla lottizzazione di grandi estensioni di terreni fondiari che la speculazione trasformò in pochi anni, da zona a vocazione prevalentemente agricola, in un grande quartiere abitato soprattutto da operai e piccole realtà commerciali ai cui confini sorsero subito anche baraccopoli e borghetti. Le quattro microzone nominate poco fa, insieme all’antica “due allori”, hanno così formato l’attuale quartiere di Torpignattara che si fonde e confonde a volte con i limitrofi.

   Possiamo individuare per sommi capi i suoi confini che non corrispondono a quelli decisi dalle circoscrizioni comunali ma che sono accettati dai suoi abitanti. E’ certamente delimitata a est dal quartiere di Centocelle e dall’area del suo ex aereoporto e la zona di Villa De Sanctis. A nord dalla borgata Gordiani nelle direttrici di Via Formia e Via del Pigneto. A ovest dal Pigneto mentre a sud dal Quadraro nella lunga direttrice di Via degli Angeli.

   Dopo questa lunga ma credo doverosa premessa, iniziamo la nostra camminata per conoscere meglio l’attuale realtà di questo che è considerato oggi, il quartiere più multietnico e integrato di Roma e la iniziamo ovviamente dal suo monumento più importante e rappresentativo. Quella Torre delle pignatte di cui abbiamo già ampiamente parlato.

   Io personalmente sono particolarmente affezionato a questo sito perché al suo interno, tanti tanti anni fa, aveva sede il 67° reparto di Boy Scout. Io ne feci parte per alcuni anni e furono anni di spensierata gioventù. Lì imparai, ancora ragazzino, a rapportarmi con gli altri partecipando alle uscite di un giorno fra campi e boschi oltre al mio primo campo scout della durata di due settimane in tenda. Avevo allora 11 anni ma ancora porto un ricordo bellissimo di quella esperienza.

   Vicino al Mausoleo inoltre, si trova l’ingresso della Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro che si sviluppano per parecchi chilometri nel sottosuolo. Una visita è possibile solo tramite guida e per appuntamento.

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Ai due Santi, fu dedicata una prima chiesa risalente al 1632 all’interno del Mausoleo

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Nel 1765 fu ristruttutata ed elevata a parrocchia. Per accogliere il sempre maggior numero di fedeli, mentre nel 1922 fu costruita l’attuale chiesa.

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   Continuiamo quindi sulla Via Casilina verso est fino ad arrivare all’ingresso dell’attuale Parco di Villa De Sanctis.

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Una visita al parco, inaugurato nel 1994, ci porta ad ammirare un luogo che è divenuto per gli abitanti dei quartieri che lo costeggiano, un vero polmone verde.

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   Al suo interno possiamo trovare anche i resti di un’antica tomba romana visibile già dalla Via Casilina

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Il parco è costeggiato da via dei Gordiani che segna il confine est del quartiere

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 La percorriamo fino ad arrivare a un sito di archeologia latifondista

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 che ci racconta una storia di tentativi falliti di dare nuovo impulso alla zona con allevamenti di bestiame.

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Questa antica fattoria, stride con la presenza di palazzi di lottizzazione intensiva venuti a partire dagli anni ’60 e fino agli anni ’80.

La zona che si vede in foto, è circondata da anni da reti sia metalliche che plastiche che delimitano solo una delle tante zone che sono a rischio di voragini. Già perchè a causa delle gallerie, delle catacombe, oltre alla captazione selvaggia nel sottosuolo per la costruzione del quartiere e alle fungaie, oggi Torpignattara è un quartiere praticamente semivuoto nel sottosuolo.

   Costeggiamo questa antica fattoria che ci riporta indietro di secoli, fino ad arrivare alla zona che qui tutti conoscono come “I Villini”. Questa zona, a parte alcune piccole porzioni in cui sono state costruite case nella maggior parte unifamiliari, è praticamente ancora senza nessuna possibilità di essere lottizzata a causa proprio di quei cunicoli e fungaie su  cui è miracolosamente sospesa. Sembra di essere in aperta campagna invece che a pochi passi dal centro.

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   Ricordo come da ragazzo, con gli amici, venivamo qui perché qui c’era un panificio che sfornava continuamente e a tutte le ore, una pizza bianca con il rosmarino che non aveva uguali in tutta Roma, ora scomparso purtroppo.

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Siamo al confine nord del quartiere: Via Formia. Fino a pochi anni fa qui, al centro della strada, era presente un vecchio pino. Per preservarlo, si era deciso di far scorrere la strada intorno alla sua aiuola. Poi questo tipo di sensibilità è passata e del pino non è rimasta che una toppa in terra e il ricordo degli appuntamenti prima di andare a mangiare la pizza bianca con il rosmarino: “se vedemo ar pino” resta appunto, solo un ricordo. Come altrettanto è rimasto di una piccola e vecchissima fabbrica di batterie per auto. Tutto il quartiere veniva qui in caso di guasto o cambio. Anche di questa non è rimasto che un rudere

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   Solo poche centinaia di metri ci separano dal caos di Via Acqua Bullicante. Il nome la dice lunga sul suo passato. Qui sotto infatti, passa ancora un ruscello che, proveniente dai castelli romani, fu interrato negli anni ’30 e si getta dopo qualche chilometro nell’Aniene.

Questa strada altro non è che la prosecuzione di Via di Torpignattara ed è uno dei due assi, insieme alla Via Casilina, che divide il quartiere in quattro parti immaginarie. Oggi è un’arteria importante di tutto il quadrante sud-est della città. Percorriamola dal suo inizio, da quell’incrocio tra le due strade che è il cuore del quartiere, siamo infatti in Piazza della Marranella.

Ho trovato in rete una fotografia che riprende il sito come appariva al viaggiatore che entrava a Roma nel 1906. Era presente un abbeveratoio per i cavalli e la vicina stazione di posta per il cambio degli stessi quando richiesto.

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Oggi il luogo si presenta così.

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   Questa piazza, piccola e trafficatissima, è sempre stata luogo di incontro e di appuntamento per gli abitanti. Ricordo da ragazzo quando fu aperta la prima biblioteca di quartiere. Voluta dall’Ambasciata d’Ameria, contribuì a farmi scoprire i primi romanzi di Hemingway. Il bar che si vede all’angolo, è per tutti noi vecchi del quartiere, “Il bar di Carra”. Primo proprietario a condurlo. Ha cambiato da allora vari proprietari e vari nomi ma per tutti noi è e resta Carra. Tutti venivamo qui per un caffè o una colazione. Tra una chiacchiera e l’altra ci si conosceva e si faceva amicizia. I nostri vecchi fra loro e noi figli e nipoti fra noi. Oggi qui c’è la sede della Circoscrizione

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Ma soprattutto L’ospedale di zona

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   Proprio in questo ospedale feci da bambino un semplice intervento di ernia e lo ricordo ancora perfettamente perché mentre ero qui ricoverato, dopo due notti ci fu l’incontro di pugilato Benvenuti-Griffith che tenne attaccata alle radio tutta Italia oltre me naturalmente.

   Poche decine di metri oltre, troviamo una scuola di recitazione che ha preso il posto di quello che un tempo fu il Cinema Impero. Fino agli anni ’90 era uno dei cinema del quartiere, molto frequentato da tutti noi perché era il più a buon mercato. In seguito alla crisi dei Cinema degli anni a cavallo del millennio, questo cinema, come tutti quelli del quartiere chiuse, lasciando il posto ad un vuoto culturale che insieme ad altri fattori, ha certamente contribuito al suo degrado.

   Anche in questo caso mi accompagna un ricordo indelebile legato a questo cinema. A tenere la concessione per la distribuzione dei cosiddetti beni di conforto, era una signora di cui ricordo ancora il nome:  Sig.ra Fosca. Questa anziana donna era cliente del negozio di mio nonno e io confesso di aver sempre approfittato di questa conoscenza. Ero così solito sedermi proprio vicino alla porta da cui uscivano i “bibitari” alle dipendenze della signora Fosca, la quale dopo poco usciva portando con sé un pacco di popcorn che regolarmente mi regalava.

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   Quasi davanti all’ex cinema Impero, troviamo una scuola che è diventata simbolo e fucina di integrazione e sperimentazione di convivenza tra le tantissime etnie presenti nel quartiere, la Carlo Pisacane. E’ necessario premettere che qui sono presenti bambini di scuola elementare e media che sono nella quasi totalità nati a Roma. Si va da figli di immigrati di prima e qualcuno di seconda generazione provenienti da India, Pakistan, Magreb, Africa sub sahariana, America latina e sud est asiatico e Cina, in un crogiolo di colori ma tutti appartenenti alla stessa razza, quella umana, come ebbe a dire Einstein.

   E’ importantissima questa convivenza perché è solo attraverso il rimescolamento tra le nuove generazioni che si potrà trovare la pace che il mondo cerca.  E’ una gioia per gli occhi vedere uscire a frotte questi bambini in modo gioioso e vedere mamme e papà di ogni cittadinanza e religione, attenderli fuori e parlare fra loro.

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   La strada continua ben oltre i confini del quartiere, cambia nome ma prosegue. Dopo aver attraversato la Via Prenestina e la Via Tiburtina giunge fino alla stazione omonima.

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   Noi invece ci fermiamo a quello che da tutti gli abitanti è considerato il confine nord del quartiere: l’incrocio con Via del Pigneto.

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Dal nome si intuisce subito che il luogo di arrivo della strada, è proprio il quartiere del Pigneto che in alcuni punti si mescola e confonde con Tor Pignattara. Dopo pochi metri incrociamo però una strada molto caratterizzante il quartiere, siamo in Via delle Marranella.

   Dal nome si intuisce subito che in passato fu una zona malsana e in cui erano presenti, come nella parallela Acqua Bullicante, stagni e ruscelli, le “marane”. Oggi è una strada in cui si sono insediati appena arrivati, i primi nuclei di immigrati che si sono impegnati fin da subito nel piccolo commercio di prossimità. Si dedicano soprattutto alla vendita di prodotti alimentari e di frutta e verdura. Purtroppo anche per loro sembra essersi presentata la mano pesante della mafia del “pizzo”, quando non quella dello sfruttamento.

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   Proprio al principio della strada, possiamo trovare un piccolo mercato ove si trovano soprattutto banchi alimentari, lo ricordo qui da sempre e per noi ragazzini era: “er mercatino

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Parallela ancora più all’interno, c’è Via Ludovico Pavoni. Una strada cieca che fin da piccolo ho conosciuto come “er vicolo der delitto”. Non ho mai scoperto il perché di questo poco invitante appellativo ma possiamo immaginarlo.

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   Tanti e tali sono i ricordi di questi luoghi,  mi tornano in mente momenti che sembravano dimenticati per sempre e che invece si riaffacciano prepotentemente. Su Via della Marranella, per esempio, aveva il negozio di biancheria, prima mio nonno e poi mia madre. Allora il passaggio delle macchine era molto più scarso di oggi e quindi mio nonno costruiva per noi bambini, palle fatte con stracci e carta pressata, il tutto legato con lo spago da imballaggio. Partite epiche all’ultimo gol!!! Sono rimasto incantato nel percorrerla e incontrare un piccolo negozio in cui mia madre mi mandava a comprare le uova fresche di giornata, il vino e l’olio allora rigorosamente “sfusi”. Non volevo credere ai miei occhi, era ancora là e la cosa più sorprendente è stata ritrovarci la signora di allora, invecchiata sì ma sempre in gamba con la figlia, mia amica di infanzia che mi hanno persino riconosciuto nonostante i capelli ormai bianchi.

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   Tornati, dopo questa importante digressione, su Via del Pigneto la percorriamo notando come attraverso gli anni alle piccole case ad un piano tipiche delle prime borgate, si siano affiancati palazzi degli anni 70 e 80 che convivono anche se in modo stridente.

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      Siamo così arrivati al confine ovest del quartiere che si confonde e compenetra con il Pigneto. La zona, che da bambini chiamavamo “I Pariolini” perché ai nostri occhi richiamava uno dei quartieri più eleganti di Roma, lo era solo perchè qui, tra i palazzoni a otto piani, era presente un giardino pubblico

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   La strada che segna il confine immaginario tra i due quartieri, è Via Zenodossio che è stata fra l’altro protagonista dell’apertura di una delle voragini di cui la zona  è purtroppo vittima da sempre

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   Al termine della strada ci troviamo nuovamente sulla Via Casilina. Poche decine di metri più a monte troviamo quello che per i vecchi del quartiere è “il bivio”. Il nome di questo posto deriva dalla deviazione che qui aveva il tram che conduceva dalla Stazione dei Laziali, presso la Stazione Termini, fino al centro del quartiere per tornare poi indietro effettuando quello che tutti conoscevamo come “il giro dell’anello”, ossia una tragitto circolare perché il tratto era un tempo, ad un solo binario.

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Questa zona è quella che viene individuata come Certosa. Derivando il suo nome, dalla antica Certosa benedettina, che era qui e che oggi è tenuta in parte dalle Suore di Madre Teresa di Calcutta ed è quella che affaccia con un cancello sulla Via Casilina. Da notare che nei pressi dell’entrata, sono presenti insediamenti di senza tetto che attraverso la carità di queste Suore riescono almeno a mettere ogni giorno qualcosa sulla tavola. Stridente anche qui la situazione di questi poveri con ciò che li circonda.

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   L’altra parte della Certosa, è invece tenuta dalla Suore Di Namour, dedite all’insegnamento. Qui ho infatti frequentato le scuole primarie e ne riporto un ricordo piacevole anche se ricordo anche la severità della mia maestra: Suor Giuseppina che ci insegnò a scrivere con la penna con pennino e inchiostro con calamaio, prima di passare alla stilografica perchè diceva, con ragione, che solo così avremmo imparato a staccare la penna dal foglio.

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   Noi però torniamo al “bivio” e percorriamo la strada che è stretta tra la Certosa e la linea Roma-Napoli.

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   Dopo poche decine di metri, raggiungiamo sulla destra Via dei Savorgnan. Questa strada è per noi e la storia del quartiere, particolarmente significativa perchè è quella su cui è sorto uno dei borghetti di cui abbiamo parlato in precedenza ed è uno dei pochi rimasto ancora praticamente intatto se non fosse per i servizi di urbanizzazione che furono portati. La cartina che segue lo identifica in rosso mentre in azzurro è la zona della Certosa.

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   Si hanno le prime notizie della nascita del borghetto, fin dal 1909 quando la Contessa Ojetti, proprietaria della tenuta agricola, volle iniziare la lottizzazione del luogo. Essendo fuori dal piano regolatore della città, potè agire quasi indisturbata. Dopo la prima metà degli anni ’20, contemporaneamente alle prime costruzioni di Via Torpignattara, inizia a sorgere il borghetto così come lo conosciamo oggi. Si sa che il primo nucleo di abitanti contemplava poco più di 50 famiglie. Immigrati soprattutto dalle province del sud Italia, oltre che da paesi vicini. Erano soprattutto operai, scopini e manovali. Il nome deriva probabilmente da una cappellina dedicata alla Madonna degli Angeli che qui doveva sorgere. Via dei Savorgnan è una stradina stretta costeggiata da case basse, ben tenute nei limiti del possibile

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   Questa era la strada che percorrevo ogni mattina per recarmi a scuola dalla Suore Di Namour. Pantaloncini corti come era uso allora fino alla prima media e poco importava se c’era il ghiaccio a terra, andavamo in gruppo di sette o otto bambini giocando e correndo. Sicuramente il freddo non lo sentivamo.

Qui fu ucciso il militante comunista Ciro Principessa, accoltellato nel 1976 da appartenenti alle squadre fasciste che negli anni di piombo erano molto attive.

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   Ricordato da un murale che campeggia in largo dei Savorgnan, rinominata dagli abitanti con il suo nome.

   Alla fine della strada, proprio all’incrocio con Via degli Angeli che fa da confine sud al quartiere, troviamo una cappellina votiva dedicata proprio alla Madonna

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La piccola strada si snoda con qualche curva fra antiche case che hanno sullo sfondo i palazzi della lottizzazione selvaggia degli anni ‘80

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Fino ad arrivare all’incrocio con Via Torpignattara.

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   Lascio per ultima la visita a questa che è certamente la strada principale  e più importante del quartiere, per continuare invece su Via degli Angeli che costeggia per un tratto, quello che sarebbe dovuta diventare una linea ferroviaria che avrebbe unito secondo le intenzioni, il villaggio della Breda che aveva qualche chilometro fuori dalla città una fabbrica di armi con annesso villaggio per gli operai, l’Aeroporto di Centocelle, con la Stazione Termini. Durante la seconda guerra mondiale questi tunnel vennero usati come ricoveri mentre in tempi più recenti sono stati usati come fungaie. Da un piccolo ponte che scavalca la linea ancora riconoscibile, è possibile individuare l’ingresso del tunnel.

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   Costeggiamo questo tratto fino ad arrivare alla parte che meglio ha conservato la struttura e l’atmosfera della vecchia Torpignattara. È una zona avulsa dal resto e forse proprio per questo è stata meno soggetta ai cambiamenti radicali cui è stato sottoposto invece il resto del quartiere. Qui le case e le strade sono ancora quelle che ricordo io quando ero bambino, case senza pretese ma si respira ancora quell’aria di dignità e mutuo soccorso.

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   Qui ci si conosceva tutti, la sera si chiacchierava fuori dalle case e forse ancora accade. Quello che manca sono le frotte di bambini che giocano. Allora eravamo tanti davvero e inutili erano le grida delle mamme che ci chiamavano per rientrare, finchè la partita non fosse finita non c’era verso…

   Questa vecchia zona è stretta oggi tra Via Torpignattara, l’Acquedotto Alessandrino e la zona del fu Campo San Galli. Quest’ultimo era il campo di calcio dove giocava e aveva sede la Società di Calcio Torpignattara.

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   Non c’era domenica in cui la squadra del cuore giocasse in casa che tutti gli abitanti del quartiere non si riversassero in massa lungo gli spalti del piccolo stadio per tifare. Era quello il momento in cui comparivano due figure leggendarie del quartiere: “Er Cozzaro” che portava sul manubrio della sua bicicletta una cassetta di cozze circondata da limoni pronti per essere spremuti nei molluschi. Famoso il suo richiamo: “nun v’affollate aò”. Soprattutto però è ancora presente nei ricordi di noi che lo abbiamo conosciuto: “Peppe ere fusajaro”. Quest’ultimo era un personaggio unico.          Basso, piuttosto tondo, con due baffetti e un sorriso disarmante. Lui sulla ruota anteriore della sua bici aveva montato un portapacchi autocostruito su cui sistemava un sacco di juta pieno di lupini, “fusaje” in romanesco. Riempiva fino ad esaurimento, cartocci di carta di fusaje, inondandole di sale contenuto in un corno di mucca che sbatteva ogni volta sul manubrio.

   E noi ragazzini? Noi ragazzini, come tutti i ragazzini, avevamo trovato il modo di guardare la partita del Torpignattara gratuitamente. Avete presente gli archi che sono in foto dell’Acquedotto Alessandrino? Bene, come ho descritto durante la passeggiata che vi ho condotto a fare sulla Via del Mandrione, anche qui come lì, addossati agli archi, quando non addirittura usufruendo dei fornici, i meno fortunati e i più poveri avevano costruito alla meno peggio delle baracche ora scomparse ovviamente e per fortuna. Baracche che noi sfruttavamo per arrampicarci fino alla sommità dell’acquedotto avendo fra l’altro una tribuna privilegiata ma…anche molto pericolosa ma si sa, ai bambini non succede mai nulla. A Roma si dice che su di loro veglia “Santa Pupa”.

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   Dopo questa digressione piena di ricordi, torniamo su Via degli Angeli, passando proprio sulla piazza che oggi ha preso il posto dell’antico Campo San Galli. Questa piazza nasce nel periodo della consiliatura di Rutelli alla fine degli anni ‘90, fa parte di un progetto di riassetto del territorio che avrà un discreto successo sia nella realizzazione che nel gradimento della cittadinanza.

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   Da parte sua la cittadinanza ha contribuito nel tempo nella ricerca di iniziative che quasi commuovono

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   Attraversiamo quindi il grande spazio della piazza, per tornare su Via degli Angeli che qui è nel suo tratto finale e dove si susseguono autodemolitori e piccole officine meccaniche.

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A queste si affiancano le costruzioni di edilizia popolare che hanno dato comunque una casa a molti degli abitanti sfrattati dai borghetti.

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   Siamo ormai al confine con l’aeroporto di Centocelle e con il Quartiere del Quadraro. Un trivio ci avverte quasi della fine del quartiere

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   Torniamo sui nostri passi per un brevissimo tratto per costeggiare di nuovo l’Acquedotto Alessandrino iniziando dal suo nascere. Proprio lì dove la condotta dell’acqua esce dal sottosuolo per divenire acquedotto

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Proprio dove questo inizia, possiamo vedere una cappellina che contiene una quantità significativa di “grazie ricevute”.

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   Alle spalle dell’Acquedotto ci sono delle costruzioni che, sia a cavallo delle due guerre sia nell’immediato periodo successivo alla seconda guerra mondiale, sono state di fondamentale importanza per il consolidamento e il formarsi del quartiere proprio nel periodo in cui la fame di abitazioni era al massimo grado per l’intensificarsi dell’immigrazione e degli sfratti dovuti alla liberalizzazione degli affitti. Con queste costruzioni di tipo civile e popolare si ha quindi una vera e propria accelerazione verso il costituirsi del quartiere riconosciuto come tale nei toponimi comunali. La data possiamo fissarla nel 1926, quando verranno attribuiti i nomi alle strade. Un primo gruppo verrà iniziato nel 1927 ma si trascinerà fino alla fine degli anni ’30.

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   Le case furono assegnate soprattutto a famiglie di sfrattati che, una volta assicuratesi un tetto, intrapresero iniziative di cui molte sfociate con successo in piccole botteghe artigiane o commerciali.

  Un secondo gruppo, fu costruito dopo la seconda guerra mondiale e fu soprannominato, per il numero elevato di case costruite, “i mille vani”. Un’edilizia più a buon mercato ma che comunque risolse un problema molto sentito. Quello della casa per molti poveri

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   Poche decine di metri dopo, si arriva finalmente a Via Torpignattara proprio nel punto in cui, quando ero bambino io, il fornice che sovrastava la strada era crollato e sostituito da un’asse di ferro. Per quello tutti coloro che abitavano qui dicevano di abitare “ar ponte de fero”, rigorosamente con una sola “erre”.

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Subito prima del ponte c’è una trattoria e c’è da quando arriva il mio ricordo, quindi almeno dagli anni ’50 dello scorso secolo. Qui la domenica sera venivo a comprare le pizze per tutta la famiglia, pizze da asporto come si dice ora, per mangiarle in casa. Ricordo che ingannavo l’attesa guardando giocare gli anziani di allora che si sfidavano sul campo di bocce esterno alla trattoria mentre consumavano la “fojetta” (mezzo litro) di vino

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   Non posso dimenticare un altro personaggio che per noi bambini era una vera e propria istituzione: “la vecchietta”. Credo che nessuno abbia mai davvero saputo il suo nome di battesimo perchè con questo appellativo veniva chiamata anche dai grandi, tant’è che ho sempre avuto il sospetto che fosse nata già così. La signora viveva in una delle tante case che si aprivano direttamente a pianterreno come tante ce n’erano allora e ogni mattina e fino a sera, sistemava un tavolinetto\contenitore che aveva la parte superiore di vetro e l’interno diviso in tanti piccoli scomparti ognuno dei quali conteneva cose di vario genere. Si andava dalle palline di vetro con cui giocavamo per la strada ai due giochi più conosciuti: “a risica”, gioco che consisteva nel bocciare la pallina dell’avversario, o a “gloga” che consisteva nel mandare la pallina in una buca senza toccare terra e da lì bocciare le palline degli avversari. Non mi dilungo a caso su questi particolari. Penso a quanto poco bastasse per passare interi pomeriggi.

   Oltre a quelle c’erano liquirizie, bastoncini di sambuco da succhiare, caramelle e altre prelibatezze. A lei consegnavano i pochi spiccioli che le nostre mamme ci elargivano con molta parsimonia. La casa è ancora lì…

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   Attraversiamo l’ex ponte di ferro e la prima cosa che incontro non con una certa commozione è la mia casa natale. Lì al primo piano, finestra centrale sono nato io. Già perché allora la maggior parte delle nascite avveniva in casa.

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 Giusto un po’ di strana nostalgia e poi continuiamo sulla strada principale del quartiere.

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 Questa strada è un’arteria importante unendo la Via Tuscolana e la Casilina ed essendo il proseguimento immaginario che conduce fino alla via Appia da una parte e alla Via Tiburtina dall’altro, intersecando la Via Prenestina.

   Si incrocia con un buon numero di traverse che portano all’interno del quartiere. La prima la percorriamo perché mi permette di portarvi a vedere una zona relativamente nuova del quartiere, costruita negli anni ’60 durante la grande lottizzazione. Qui, circondato da palazzi alti anche otto piani, fu costruito il mercato coperto. Un vero avvenimento per la zona.

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   Prima della sua costruzione, tutta questa zona era della famiglia dei Camerini. Famiglia abbiente che aveva un grande appezzamento di terreno in cui coltivava ortaggi e verdure. Quando non c’erano colture in corso, diventava il “nostro” parco giochi. Ricordo ancora le scorribande in questo grandissimo orto. Ricordo come di notte andassimo a “prelevare” i finocchi dal terreno e dopo averli puliti alla bella e meglio dalla terra che li ricopriva, li mangiavamo con avidità. Non per fame ovviamente ma per l’impresa che avevamo fatto. Doveva essere una famiglia di santi perché mai ci hanno sgridato ma anzi, assegnarono a noi ragazzini del quartiere, un appezzamento di un centinaio di metri quadrati e ci rifornirono di sementi per coltivare. Impensabile oggi.

Torniamo ora sulla strada principale e la prima cosa che mi salta agli occhi è la mancanza del chiosco delle “grattachecche”, granite in italiano. Questo chiosco era tenuto da un signore già anziano allora che avevamo soprannominato da noi “er panzone”, il perché sarebbe pleonastico. A terra è rimasto solo un tombino.

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 Sullo stesso incrocio ammiriamo uno dei murales più belli del quartiere. Già perché avevo dimenticato di dirvi, che Torpignattara è un quartiere in cui i murales abbondano. Richiamano terre lontane o condizioni ambientali e sociali. Ce ne sono ovunque e danno colore al quartiere

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Davanti a questo, al di qua dell’incrocio, un altro murale dà vita a quella che un tempo fu l’Arena Aurora

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   Qui, nelle calde serate estive, rigorosamente il sabato sera, veniva proiettato un film e l’arena la ricordo sempre piena e vociante, di film invece non ne ricordo nessuno…

   Poco dopo eccoci davanti alla vecchia sede del Partito Comunista, oggi PD. È una sede storica e al di là delle diverse fedi politiche è l’unica che è qui da sempre.

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Da qui si susseguono uno dietro l’altro, i negozi di vicinato che un tempo erano tenuti tutti da italiani e oggi tutti o quasi, da immigrati. Segno dei tempi. Sicuramente non c’è più la qualità di prima ma bisogna dar tempo al tempo secondo me. Con il miglioramento delle condizioni economiche, con l’integrazione dei bambini di seconda e terza generazione, il quartiere, ne sono certo, rivivrà come prima.

La comunità cinese in questo è molto attiva, avendo rilevato i negozi più grandi e iniziato la loro attività soprattutto con merce d’importazione dal loro Paese d’origine.

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Appannaggio degli immigrati del sub continente indiano, indiani e pakistani, sono invece i banchi e i negozi di frutta e verdura

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   Proprio qui mi viene spontaneo girare nella traversa che è la stessa su cui passava il tram che qui passava per completare il “giro dell’anello”.

   Alla fine della traversa c’è un palazzo d’angolo e dove ora c’è un bar, io ho avuto il mio negozio di biancheria per 24 anni\texts\TorPignattaraAttach/53a11036-f9ee-43ce-b800-525314860fd1_Pictures_100000000000051600000363A829A0594DA6EC88.jpg

Davanti c’è “er cannone”, questo è il monumento ai caduti di tutte le guerre inaugurato nel 1948.\texts\TorPignattaraAttach/dced8fa5-0580-49a8-9f0b-56850bf9740f_Pictures_10000000000005130000036269F563BDE0F397C6.jpg

È un altro punto per gli appuntamenti. Quando si dice “se vedemo ar cannone”, tutti sanno dove. Inoltre questo è l’apice della strada che qui termina confluendo anch’essa sulla Via Casilina. Percorriamo quindi a ritroso il breve tratto che ci condurrà proprio all’incrocio con la Via Torpignattara passando lì dove un tempo c’era la famosa marana di Alberto Sordi e dove poi fu costruito anche il Cinema Due Allori\texts\TorPignattaraAttach/f9d400b6-0c23-42d7-b4de-f3677f3a07b6_Pictures_100000000000051600000363E7033360EFA6CFC1.jpg

   Oggi, segno dei tempi, sede di uno dei tanti Bingo.

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Nel tratto iniziale, Via Torpignattara negli anni che vanno dalla fine della guerra e fino alla fine degli anni ’50. Fu sede del mercato rionale. Era un mercato costituito di banchi e dove mia madre mi portava avendone lei uno per la vendita della biancheria. Ricordo molto vagamente una cassetta su cui salivo per arrivare all’altezza del piccolo bancone.

   Per completezza nella descrizione non posso non nominare la parrocchia di San Barnaba. Non è mai stata sentita come tale dagli abitanti del quartiere che hanno sempre visto in Santi Marcellino e Pietro, la loro parrocchia ma io ci sono affezionato perché lì fui battezzato quando ancora era una chiesetta di legno. Oggi è una grande chiesa.

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   So di essermi dilungato anche a causa della moltitudine di ricordi che mi hanno assalito non senza una certa nostalgia. Mi sono divertito a scrivere e fotografare i luoghi cui sono particolarmente legato ma che sono anche simbolo ed esempio delle periferie romane. Spero di essere riuscito a spiegare almeno in parte, la sua e loro evoluzione attraverso il mio sentire e i miei ricordi oltre ovviamente a qualche ricerca su libri e pubblicazioni di chi mi ha preceduto.

   Grazie della pazienza.

Mappe courtesy of Google Maps and Tuttocittà ; l’immagine di Roma del 1906 è reperibile presso https://www.ecomuseocasilino.it/ o Sovraintendenza di Romaattribuzione incerta